Le decorazioni del Duomo di Tivoli appartengono a due periodi storici ben precisi. Le cappelle laterali furono affrescate nel XVII secolo mentre la navata e l’abside sono più recenti e risalgono ai primi decenni dell’Ottocento. La ricchezza di epoche e di autori crea un’armonia particolare, un impatto visivo inconfondibile che costituisce la cifra distintiva della nostra Cattedrale. Ci soffermiamo in questo articolo su un particolare degli affreschi realizzati a metà del Seicento da Vincenzo Manenti nella cappella del Santissimo Salvatore. Nel lunotto della parete destra possiamo ammirare una raffigurazione del noto episodio delle Nozze di Cana (Gv 2,1-12) quando Maria chiese l’intervento di Gesù, invitato a uno sposalizio, perché al banchetto era finito il vino. Come sempre nei vangeli, e soprattutto in Giovanni, bisogna saper leggere tra le righe il significato profondo del racconto. Le nozze alludono alla nuova alleanza, l’acqua trasformata in vino al dono senza misura di Gesù stesso, della sua vita offerta sulla croce per gli uomini. Le parole della Madre, “non hanno più vino” rimandano invece alla sua potente intercessione presso il Figlio in nostro favore. Maria è come il ponte attraverso il quale le difficoltà della vita umana riescono a toccare profondamente il cuore di Gesù. 58807Questo aspetto è rappresentato in maniera molto raffinata dal Manenti. Se osserviamo infatti la scena sulla destra, notiamo che Maria si sta rivolgendo a Gesù con uno sguardo che esprime umiltà e tenerezza. Gesù ha assunto una posa grave e assorta. Sembra voler rimandare il suo intervento, proprio come narra Giovanni, ma ascolta infine la propria Madre e benedice con la mano destra. Le sei giare vengono riempite d’acqua, da esse verrà servito il vino migliore. Il festante banchetto può continuare in tutti i suoi rutilanti colori seicenteschi. Esiste una bellissima riflessione del Servo di Dio Igino Giordani, scrittore e uomo politico tiburtino di cui è in corso la causa di beatificazione, proprio su questo aspetto dell’intercessione di Maria a Cana di Galilea, che può essere di grande consolazione per noi. Scrive Giordani: «Madre della pietà, Maria dice a Gesù: “Non hanno più vino”. Una frase concisa, come ne diceva Maria, il Silenzio: una sola che esprime un dramma di due povere creature, alle quali stava per arrivare l’ignominia di non poter offrire del vino agli invitati nel giorno delle nozze; l’ignominia dell’intera vita, in un villaggio galileo. Forse a Maria nessuno aveva detto niente; ma lei, perché amava, aveva visto. Gesù le risponde: “Che importa a me e a te, o Donna? L’ora mia non è ancora venuta!”. Ma la Madre si rivolge ai servi: “Fate tutto quello che Egli vi dirà”. È stupefacente. Qui l’umiltà oltrepassa la decisione di Gesù e il decreto di Dio, in cielo, dove era disposto che l’ora venisse più tardi: fra un mese, un anno, un lustro?… Maria, in tutta semplicità, mentre ordina di obbedire agli ordini di Gesù, in sostanza definisce lei ‘l‘ora’ della manifestazione messianica: l’ora divinamente scelta per l’inizio dell’evangelizzazione; ella è sicura che Dio farà la volontà di lei, dopo che la volontà di lei s’è fatta volontà di Dio. E questo dice quanto legata sia la Madre in terra al Padre in cielo, e come tra loro circoli lo stesso Spirito. Dice pure che la pietà di Maria per le povere creature – due oscuri sposi, contadini? artigiani? pastori? – è sconfinata”. (a.m.)